L'art. 2118 c.c. stabilisce che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.
Il legislatore ha stabilito che il datore di lavoro può licenziare ad nutum (cioè senza alcuna motivazione) solo nei casi di giusta causa o giustificato motivo.
Il licenziamento per giusta causa, disciplinato all'art.2119 del codice civile, viene intimato qualora il lavoratore si macchi di una colpa così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto di lavoro: si interrompono in questo modo immediatamente gli effetti del contratto di lavoro stipulato tra due soggetti.
Tale forma di licenziamento per giusta causa è più nota e meglio conosciuta anche con la comune accezione di "licenziamento in tronco": si tratta infatti del provvedimento più radicale che possa assumere il datore di lavoro nei confronti del lavoratore e pertanto occorre che la condotta di quest'ultimo sia di straordinaria gravità, e che oltretutto leda il rapporto di fiducia fra le parti.
La giurisprudenza in materia è tuttora dubbia, ma in generale si ritiene che le condotte che possono condurre al licenziamento per giusta causa si possano annoverare nel rifiuto reiterato di eseguire la prestazione lavorativa, nella sottrazione o distruzione di beni aziendali e nella commissione di gravi reati.
La gravità della condotta mantenuta dal lavoratore va valutata anche in relazione al ruolo ricoperto dal dipendente all'interno dell'azienda.