Reintegra in mansioni inferiori: al lavoratore spetta il risarcimento

Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza 17/08/2017 n° 20123

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto del dipendente, reintegrato in azienda per ordine del Giudice, a veder risarcito il danno in caso di adibizione a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte alla data del licenziamento. Il caso aveva avuto origine da una sentenza del Tribunale di primo grado che aveva accolto la domanda di due lavoratori volte a far accertare l’illegittimità del licenziamento, con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione degli ex dipendenti in azienda.

L’azienda aveva dato seguito alla sentenza con notevole ritardo, provvedendo a reintegrare i ricorrenti nel medesimo luogo di lavoro ma assegnando agli stessi mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte.

La società si era giustificata asserendo di avere nel frattempo modificato il proprio assetto organizzativo in modo tale che le mansioni a suo tempo ricoperte dai lavoratori, risultavano, al momento della reintegrazione, non più disponibili.

La Corte di Cassazione investita della questione ha ritenuto la condotta dell’azienda contraria al provvedimento del Tribunale.

I giudici hanno sottolineato che anche nel caso in cui, tra la data del licenziamento e quella della reintegrazione, il datore di lavoro abbia provveduto a sopprimere le mansioni svolte dal dipendente, non è comunque consentito adibire il lavoratore a mansioni di contenuto inferiore rispetto a quelle che erano allo stesso assegnate al momento del licenziamento.

L’unico caso in cui ciò è ammesso, è quello in cui il datore di lavoro possa dimostrare che il posto di lavoro del dipendente, o un altro posto di lavoro con mansioni di natura equivalente, non sia più disponibile per una causa a lui non imputabile.

Infatti, proseguono i giudici, anche nel caso in cui risulti provata l’inevitabilità della riorganizzazione aziendale e la necessità di sopprimere la posizione lavorativa, al fine di rendere legittima l’attribuzione al dipendente reintegrato di mansioni inferiori ex art. 2103 cod. civ., deve comunque essere dimostrata l’impossibilità di assegnare a quest’ultimo mansioni equivalenti a quelle in precedenza espletate.

Il ragionamento degli Ermellini si basa sulla considerazione che il lavoratore non può subire gli effetti pregiudizievoli legati alle vicende aziendali che hanno medio tempore coinvolto l’impresa, salvo il caso estremo in cui il riassetto organizzativo sia risultato necessario (ossia non evitabile) e fermo restando l’onere probatorio a carico del datore di lavoro di allegare e dimostrare l’effettiva impossibilità di reimpiegare il dipendente in mansioni alternative equivalenti.

In base a queste considerazioni la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, con la quale il datore di lavoro era stato condannato a risarcire, in favore dei lavoratori, il danno derivante dal demansionamento subìto a causa della reintegrazione in mansioni inferiori rispetto a quelle svolte all’epoca del licenziamento.


 

 

26/10/2017 11:54

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